TRE BRIGANTI O TRE SOMARI? La fine della concertazione sindacale alla luce del nuovo contratto delle funzioni locali

Sembra ormai prossima la firma all’ipotesi di accordo per il contratto delle Funzioni locali, anche se per la sottoscrizione definitiva e per vedere i pochi spiccioli nelle nostre tasche occorrerà ancora qualche mese.

Ancora una volta il capitombolo dei tre sindacati concertativi e del residuale sindacalismo autonomo appare sconcertante.

Le rigide prese di posizione sulla revisione dell’ordinamento, sui soldi (che non copriranno nemmeno l’inflazione reale), sull’avanzamento in categoria D delle maestre e delle educatrici atteso da più di 20 anni si frantuma sull’altare della subordinazione.

Ci diranno che si tratta di una scelta dettata dal senso di responsabilità dovuto alla caduta del governo, ma

delle due l’una: o stanno mentendo, o sono incapaci di fare sindacato.

L’ARAN, nelle due ultime sedute di trattativa ha sostanzialmente mantenuto il punto su tutti i propositi governativi, al netto di qualche piccola concessione sulle materie oggetto di confronto. Ma l’impianto generale resta immutato, ovvero:

– Gli aumenti assorbiranno l’indennità di vacanza contrattuale e l’elemento perequativo e nella migliore delle ipotesi si attesteranno attorno ai 50 euro medi netti;
– La categoria A rimarrà tale anche se assumerà un nome diverso (a febbraio Aran e sindacati avevano invece stabilito l’accorpamento con la categoria B);

– Si crea l’area della vice-dirigenza, ma non si sa ancora se in aggiunta o meno a quella delle posizioni organizzative con soldi tolti dalla contrattazione di tutte le categorie;

– Si prevedono scatti economici orizzontali triennali (anziché biennali), ancora più rigidi e soggetti a valutazione dirigenziale soprattutto per le categorie più basse: inoltre il numero di differenziali economici sarà inferiore agli scatti di progressione attuali (in categoria C saranno previsti 4 scatti invece che 5, in B, 4 scatti invece di 7 e in A, 4 scatti anziché 5) e porrà certamente un problema di equiparazione;

– La riforma dell’ordinamento servirà solo a riempire di

ulteriori mansioni i singoli profili professionali senza concedere nulla in cambio (solo un possibile piccolo incremento dei differenziali – le vecchie P.E.O. – per le figure iscritte ad albi e per i vigili urbani con funzioni di coordinamento);

– Del tutto azzerato l’inquadramento in cat. D di insegnanti e educatrici, che viene rinviato, ancora una volta. Stavolta si parla del 2023, quindi al prossimo contratto, che – se tutto va bene – verrà siglato nel 2025;

– Scompare il telelavoro e con esso la parte di garanzie che il datore di lavoro deve riconoscere in termini di compenso per i consumi elettrici ed energetici, la regolazione dell’orario di lavoro (lo stesso di quello dell’ufficio), lasciando il posto al lavoro agile con prestazione esigibile in un orario di lavoro più ampio.

Questo non è un contratto. Questa è la manifestazione evidente di un servile inchino di fronte al padrone: anche se pubblico.

Come SGB, non abbiamo ancora la forza e i numeri per contrastare queste vergognose riverenze, a livello nazionale, fatte passare per “contratti”, ma Lavoratori e Lavoratrici sappiano che non ci manca la pazienza e la voglia di continuare a costruire un sindacato che rivendichi condizioni di lavoro migliori, retribuzioni più vantaggiose (dignitose non ci basta più), un maggior numero di posti di lavoro in tutta la Pubblica Amministrazione.

Non abbiamo più bisogno di contratti a perdere, né di sindacati legati a filo doppio con la politica o che si prendono i nostri soldi (con i fondi pensione) per giocare all’alta finanza.

E allo stesso tempo non si può cedere a questi briganti (o a questi somari?) il monopolio della rappresentanza sindacale (che il governo Draghi si apprestava a varare).

Sostenere SGB e togliere il consenso a chi è complice della distruzione del lavoro pubblico, è la sola strada per restituire dignità a Lavoratori e Lavoratrici.

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